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Esclusiva

Febbraio 24 2023
L’intervista a Katerina Abramova, la portavoce di Meduza

La portavoce del giornale indipendente russo racconta la sua resistenza alla censura del Cremlino

«Se vogliono una battaglia la avranno»: inizia così il lungo annuncio da parte dei giornalisti di Meduza dopo che, lo scorso 26 gennaio, sono stati messi fuori legge dalle autorità russe con la nuova etichetta di «indesiderati» appiccicata addosso. Anche se più che di etichetta si dovrebbe parlare di bersaglio: l’insofferenza del Cremlino verso la libertà di stampa cresce ogni giorno di più, specie da quando il 24 febbraio 2022 è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Reporter Sans Frontieres, che calcola il freedom index della stampa in giro per il mondo, assegna un 38.8 alla Russia. Da 0 a 40 la situazione viene considerata di grave violazione delle norme internazionali a tutela della libertà di stampa. 

Un lungo processo instillato nell’opinione pubblica del Paese, cementando la narrativa di Putin grazie al saldo controllo sui media attraverso l’organo statale Roskomnazdor, il servizio federale per la supervisione delle comunicazioni, delle tecnologie dell’informazione e dei mass media, istituito nel 2008 da Dimitri Medvedev

La messa al bando del quotidiano anglo-russo con sede a Riga, in Lettonia, non è stata una decisione improvvisa, come racconta Katerina Abramova, portavoce della testata, ma fa parte di un processo iniziato nell’aprile 2021 quando Meduza è stato inserito nella lista dei siti d’informazione che il Cremlino considera «agenti stranieri»: «In un primo momento è stato un duro colpo, ma poi è diventato chiaro il motivo per cui stavano limitando l’informazione: preparavano la guerra. Noi siamo stati i primi, ma da lì in avanti qualunque media indipendente è stato inserito nella lista nera. Essere dei foreign agents significa che secondo le autorità russe stai lavorando al soldo di un paese straniero. Vieni visto come una spia, un nemico. È un’onta per chiunque, ma per noi ha significato la rovina del nostro business model perché in Russia hanno paura di essere associati con chi viene considerato come un indesiderato. Farci da sponsor e mettere il proprio marchio sul nostro sito è diventato impossibile, così abbiamo dovuto virare sul crowdfunding per andare avanti con i nostri progetti».

Da quando l’invasione dell’Ucraina è iniziata il servizio federale di censura che supervisiona i media è responsabile di aver oscurato più volte Meduza e ha stretto sempre di più il controllo su quello che usciva nella Federazione. A novembre 2022, Roskomnazdor ha limitato l’accesso, oscurando una parte del sito, alla Novaja Gazeta un altro outlet indipendente. Le colpe sono note: aver chiamato l’invasione dell’Ucraina una guerra e aver riportato senza infingimenti le manovre repressive del Cremlino. «Quando abbiamo iniziato molte persone ci ridevano dietro, domandandoci quale fosse il problema. Ma già nove anni fa, nel 2014, era chiaro che il concetto di media indipendente in Russia stava per scomparire. Una delle nostre fondatrici lavorava per uno dei più importanti siti di informazione russi. Ha fondato Meduza dopo essere stata licenziata per non aver coperto a dovere l’annessione della Crimea nel 2014».

Ma cosa comporta la nuova dicitura «indesiderato» accanto al nome di Meduza? «Se Meduza non scompare, il Ministero della Giustizia minaccerà non solo la nostra squadra di giornalisti, ma anche chiunque distribuirà il nostro materiale (compresi atti innocui come la condivisione di un link su Facebook di uno dei nostri articoli), chiunque cercherà di donare soldi per sostenere il nostro giornalismo, e anche chiunque concederà ai nostri giornalisti un’intervista o anche solo un commento». 

L’invasione dell’Ucraina ha aggravato la situazione e reso impossibile fidarsi delle informazioni rilanciate dalle agenzie statali russe. Disinformazione e propaganda, cruccio di gran parte dei paesi del Globo, hanno indossato l’elmetto e giocano un ruolo fondamentale per il Cremlino. Vista da Riga, dove ha sede Meduza, anche questa parte non è una novità: «La propaganda di Putin non è iniziata con la guerra in Ucraina, e nemmeno con l’annessione della Crimea. Non è stato qualcosa di improvviso o qualcosa che serviva a giustificare le guerre. È stato un processo lungo che, giorno per giorno e mese per mese per vent’anni, hanno instillato il concetto che l’Ucraina è russa da sempre e che l’Occidente e la Nato, un giorno, avrebbero voluto la resa dei conti». 

Inoltre, le autorità statali controllano con maggiore facilità la narrativa riguardante la guerra. Dal 4 marzo 2022, infatti, il Roskomnazdor ha dichiarato illegali le fake news riguardanti l’esercito della Federazione. Stando a un rapporto dell’OECD, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ad esempio, la legge non specifica cosa si qualifica come falsa informazione e si possono applicare multe fino a 500.000 rubli (6.200 euro) e incarcerare i cittadini fino a quindici anni. 

Il consenso che il Cremlino racconta di avere nella popolazione è, appunto, un racconto, come spiega Abramova: «Sicuramente ci sono molti russi che sono militaristi e credono ancora nella possibilità che l’Impero rinasca, ma non tutti la pensano così, forse sono anche meno della metà. C’è una fetta di popolazione che combatte il dispotismo di Putin facendo attivismo, denunciando la situazione, ma la stragrande maggioranza dei russi vive in condizioni di povertà. Non hanno interesse che per le fatiche di ogni giorno, ma sanno che a loro conviene il silenzio». 

Ma qual è il futuro del giornalismo indipendente in Russia? Abramova sospira e poi risponde: «Andare lontano dalla Russia». 

Articolo di Leonardo Pini, giornalista del Master in Giornalismo e Comunicazione Multimediale Luiss