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Esclusiva

Marzo 2 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 15 2023
«Nella ‘nebbia della guerra’ cercare la verità diventa sempre più difficile»

Yevgeniy Golovchenko osserva il conflitto scoppiato in Ucraina, sua terra d’origine, da Copenaghen, dove vive e lavora come ricercatore

Articolo di Silvia Stellacci, studentessa del Master in Giornalismo e Comunicazione Multimediale dell’Università Luiss Guido Carli.

«Io non sono un fact-checker, ma spero che quello che faccio possa aiutare tutti, giornalisti e gente comune, a contrastare la disinformazione». Yevgeniy Golovchenko osserva la guerra scoppiata in Ucraina, sua terra d’origine, da Copenaghen, dove vive e lavora come ricercatore. I suoi studi sulla politica nei social media, la censura online e la disinformazione diventano una fonte preziosa per coloro che cercano di orientarsi meglio nel mare di informazioni relative all’invasione russa dell’Ucraina. 

«Nella 'nebbia della guerra' cercare la verità diventa sempre più difficile»
Yevgeniy Golovchenko

Come si lega il tuo lavoro a quello che sta succedendo ora in Ucraina e alla disinformazione russa in generale?

«Nei miei studi mi sono occupato di diversi aspetti della guerra dell’informazione. Ho iniziato il mio lavoro di ricerca come dottorando nel 2017. Tra gli argomenti studiati empiricamente – con la raccolta di molti dati dai social media – rientra lo studio del ruolo attivo che i cittadini hanno svolto sulle piattaforme social. Ho fatto ricerche anche sulle strategie dietro la disinformazione pro-Cremlino e sull’uso della censura, come parte della guerra dell’informazione in Ucraina. In questo momento non sto raccogliendo dati. Mi concentro sul leggere notizie dalla mattina alla sera, ma molti dei pattern che vedo sono uguali a quelli già osservati. Per questo, spero di diffondere le nozioni che ho raccolto negli anni insieme ai miei colleghi. Quello che provo a fare ora è dare un senso alla serie di informazioni confusionarie e contraddittorie che arrivano. 

Questo non significa che sono un fact-checker, ci sono altri molto più bravi di me che lo sono. Io raccolgo i fact-check di altre persone e le notizie contraddittorie che si escludono a vicenda, sperando che sia un lavoro utile per ricerche future e per il me futuro che, a un certo punto, si girerà indietro a vedere tutto quello che ha fatto».

Lo scoppio della guerra in Ucraina, tuo paese d’origine, ha cambiato l’approccio al tuo lavoro? Credi che la lotta contro la disinformazione circolata in questi giorni sia una forma di resistenza contro la Russia e la sua invasione dell’Ucraina?

«Sì. Quello è il mio background. Sono emigrato dall’Ucraina e arrivato in Danimarca circa vent’anni fa. Ora vivo a Copenaghen e osservo la guerra da lontano. Come influenza quello che faccio durante la giornata tutto questo? Beh, credo ci sia un conflitto morale tra il lavoro che ho sempre fatto e quello che faccio ora. Intendo dire che, se continuassi a fare le mie ricerche come se nulla fosse, mi occuperei semplicemente dei dati di questo specifico argomento, scriverei il paper sul tema e forse, a metà anno, lo invierei per una revisione, mentre pubblicherei i risultati alla fine dell’anno.

Adesso ho messo in pausa tutto questo. Provo a concentrarmi al cento per cento sulla divulgazione. Sto diffondendo le nozioni che ho e sto cercando di aiutare soprattutto quei giornalisti che hanno sentito parlare di guerra in Ucraina, ma conoscono poco la situazione. Quindi, il tipo di ricerca che ho sempre fatto e che richiede tempi più lunghi è stato rimpiazzato da un dovere civico. Aiutare la gente comune e i professionisti dell’informazione a dare un senso a quanto accade e alle notizie che arrivano».

Qual è l’impatto della disinformazione sulla guerra in Ucraina?

«È davvero difficile fare un lavoro di analisi e di ricerca su quanto sta accadendo ora, perché la ricerca richiede moltissimo tempo. Ma questa guerra stava arrivando da tanto tempo, quindi possiamo guardare ai dati e agli studi esistenti per cercare di dare un senso alla situazione. Sappiamo, per esempio, che recenti studi hanno cercato di misurare quanto gli ucraini siano in grado di differenziare la disinformazione filorussa da quella che non lo è. In media sono abbastanza bravi e anche questo dà un punto di vista interno rispetto a quanto sta accadendo. 

La società civile, i citizen journalist, i blogger e gli attivisti giocano un ruolo importante sia nello spargere disinformazione sulla guerra in Ucraina che nel contrastarla. Sulla base di conoscenze pregresse, mi aspetto che la società civile abbia il suo ruolo nella guerra e spero che il suo punto di vista interno possa far capire cosa sta succedendo».

Quali difficoltà si incontrano nella verifica di notizie che provengono da un contesto di guerra?

«Sono molte le difficoltà quando si tratta di verificare le notizie. Soprattutto perché – sia come normale utente che come ricercatore – controllare le cose che accadono sul campo richiede molto tempo. Intanto, però, casi di disinformazione o misinformazione potrebbero diffondersi in tutto il mondo. Mettere in luce le contraddizioni, specialmente per i fact-checker, rappresenta una corsa contro il tempo. La sfida principale è la “nebbia della guerra”. Fare fact-checking è difficile. Fare ricerca sulla disinformazione è molto difficile. Ma farlo nel contesto di una guerra, in cui l’informazione diventa un’arma e gli informatori sono usati appositamente per causare confusione, è ancora più difficile. 

Per esempio, c’è una notizia rispetto alla quale ero e sono ancora confuso. A un certo punto, un’agenzia di stampa occidentale ha scritto che, secondo Klitschko, sindaco di Kiev, la città era circondata. Poco dopo, la notizia è stata ritrattata da qualcuno dell’ufficio del sindaco. Come si verifica se Kiev è assediata o meno? È difficile conoscere i movimenti delle truppe, soprattutto in un contesto di dichiarazioni contrastanti. Quindi questa è una delle sfide principali: la “nebbia della guerra”, l’onda massiccia di informazione contraddittoria, la confusione causata non solo dalla Russia, ma anche da bravi giornalisti che sono, loro stessi, confusi».

«Nella 'nebbia della guerra' cercare la verità diventa sempre più difficile»

Perché hai deciso di analizzare fake news iniziando un thread su Twitter?

«Il mio scopo principale era catalogare la disinformazione in modo da poter capire questo fenomeno. Parliamo di misinformazione nel contesto di una guerra, in cui la disinformazione è usata non solo per colpire i nemici nel lungo termine, ma anche per raggiungere degli scopi sul campo di battaglia, per spargere confusione, panico e paura. Perciò la mia speranza era quella di creare consapevolezza, soprattutto tra giornalisti professionisti, riguardo i caratteri specifici di questo fenomeno, in modo che si possa contrastare meglio la disinformazione».

Quale metodo segui nell’analisi e nella selezione delle fake news?

«Mi affido spesso ai fact-check realizzati da altri e provo sempre a verificare le mie conclusioni e le mie analisi. La cosa più semplice da fare è prendere due dichiarazioni che si escludono l’una con l’altra, anche se non si sa quale delle due sia quella corretta. Per esempio, le truppe russe non potevano essere arrivate e non essere arrivate a Odessa nello stesso giorno e alla stessa ora. Kiev non poteva essere circondata e non essere circondata nello stesso momento. È chiaro che c’è qualcosa che non va. 

Io cerco di attenermi a casi chiari e leggibili. La mia routine si svolge in questo modo: mi sveglio al mattino e la prima cosa che faccio è aprire i media russi controllati dallo stato, i media ucraini, Twitter e i media occidentali. Cerco di capire cosa sta succedendo, quali tipi di narrazione sono chiari esempi di disinformazione, quali di misinformazione, quali sono solo confusionari e cosa tutto questo significa nel contesto della situazione politica in cui ci troviamo. Quello che per me è importante è cercare di capire il contesto politico, qual è la tragedia che si sta consumando e quale tragedia potrebbe consumarsi».

Quali sono le strategie più utili per riconoscere le fake news che circolano riguardo all’invasione russa dell’Ucraina?

«Ci sono diversi approcci, metodi e strumenti che si possono utilizzare. Un aspetto che stiamo osservando e che abbiamo osservato all’inizio della guerra nel 2014 è quello dei video riciclati da conflitti passati. Un esempio è la foto di un aereo abbattuto in Libia, che può essere usata per farci credere che gli ucraini hanno abbattuto un aereo russo. Se si tratta di un’immagine, si può fare una ricerca inversa su Google, per vedere se la foto appare da qualche altra parte o se il titolo era già apparso in precedenza. Questo è il primo metodo utile per capire se si tratta di misinformazione riciclata. 

Un’altra cosa che si può fare è la verifica incrociata di diverse fonti, visto che, soprattutto ora, è importante dare la priorità alla qualità sulla quantità. Perché questa è guerra, e più produciamo un’informazione incerta, più è difficile orientarsi in guerra. D’altronde, questo è anche parte della strategia militare utilizzata da russi e non per seminare confusione. Perciò, soprattutto adesso è importante verificare le fonti, se c’è sempre un’altra fonte credibile che può confermare la notizia. Invece, quando si parla di social media, un altro trend che ho notato è quello della creazione di account falsi per un evento particolare. Questo significa che un profilo che è stato creato oggi è fake? No, ma è un segno frequente del fatto che possa esserlo. 

Un’ultima strategia è osservare con attenzione il contenuto. Abbiamo visto, per esempio, che degli account fake russi – coinvolti nelle elezioni statunitensi del 2016 – avevano pubblicato post politicamente moderati o contenuti non relativi alla guerra o alla politica. Ma, tutto a un tratto, abbiamo visto che avevano portato avanti una narrazione particolare, come se ci fosse una sorta di pre-propaganda. Perciò bisogna navigare in profondità nel profilo, per scoprire se spunta fuori qualcosa di sospetto».

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