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Esclusiva

Giugno 13 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 15 2023
La fiducia dei russi nella propaganda di Putin. De Stefano: «Merito del controllo del governo sull’informazione»

Il presidente è stabile nei sondaggi interni sul conflitto in Ucraina. Secondo le rilevazioni, l’operazione speciale è una “guerra giusta” per la maggioranza dei cittadini. Per l’accademica esperta di Russia, però, i dati sono incompleti: «Mancano i dati sugli astenuti»

I risultati dei più recenti sondaggi indipendenti certificano l’efficacia del controllo tentacolare di Putin sulla percezione interna del conflitto. Il sondaggio del Levada Center, condotto casa per casa dal 26 al 31 maggio su un campione rappresentativo della popolazione russa urbana e rurale di 1.634 persone di età pari o superiore a 18 anni, fa emergere gli effetti della legislazione di ferro introdotta a partire dal 24 febbraio 2022 con cui è stata messa al bando qualsiasi copertura mediatica non in linea con quella ufficiale. Pur non raggiungendo il picco di marzo, il sostegno al proseguimento delle azioni militari rimane altissimo. Il 77 per cento degli intervistati infatti è favorevole, di cui il 47 decisamente favorevole e il restante 30 piuttosto favorevole. Solo il 17 per cento si è espresso contrariamente. 

«I ricercatori del Levada Center sono persone serie e affidabili ma vanno considerate anche le criticità del sondaggio: non vengono forniti i dati delle persone che si rifiutano di rispondere alle domande. In guerra si tratta di informazioni necessarie per avere un quadro chiaro perché esiste un filtro automatico che spinge i partecipanti a rispondere sì». Carolina De Stefano, professoressa di Storia e Politica russa alla Luiss Guido Carli di Roma, commenta così l’esito dell’indagine da cui si evince che le generazioni più anziane dimostrano un sostegno maggiore rispetto a quelle più giovani. Le persone di età pari o superiore a 55 anni seguono gli eventi più da vicino sui canali ufficiali rispetto alla fascia giovane che va dai 18 ai 34 anni. «La stretta del governo ha gettato una coltre di silenzio sulle voci dissidenti che prima dell’invasione rappresentavano faticosamente un’alternativa alla narrazione del Cremlino. Soprattutto per i più giovani. Ciò nonostante, servendosi delle loro capacità tecnologiche, sappiamo che in qualche modo i ragazzi e le ragazze russe riescono ad aggirare la propaganda raccogliendo informazioni da altri canali». 

Il 53 per cento degli intervistati ritiene che la televisione sia obiettiva nel coprire le cronache di guerra: il 21 per cento la considera assolutamente obiettiva e il 32 piuttosto obiettiva. Solo un terzo degli intervistati parla dell’obiettività dei social network e delle pubblicazioni online. Una percentuale che, come sottolineato, afferisce soprattutto alla fascia giovanile. C’è divergenza di vedute anche su quanto possa effettivamente durare la cosiddetta “operazione speciale”. Circa un terzo, ossia il 37 per cento, ritiene che possa prolungarsi fino a sei mesi, il 26 da due a sei mesi, il 9 da uno a due mesi mentre solo il 2 ritiene che si andrà avanti non più di un mese. Il restante 44 per cento degli intervistati è convinto che possa protrarsi per più di sei mesi: il 23 per cento di loro indica un periodo che va dai sei mesi a un anno e il 21 addirittura più di un anno.

«Lo stato di salute delle opposizioni politiche va di pari passo con quello dell’informazione. Se prima c’era un minimo margine d’espressione, il dibattito ora è azzerato e l’identità dei partiti estranei a Russia Unita annullata. Da quando la Fondazione Anti corruzione di Navalny è stata dichiarata un’associazione terroristica alla stregua dell’Isis, Putin ha letteralmente rimosso il concetto di opposizione dalla scena pubblica. Il processo di centralizzazione ha visto una brusca accelerazione negli ultimi mesi ma è stato avviato ben prima dell’invasione in Ucraina. Già nel dicembre del 2021, attuando la più grande riforma dello stato da quando è al comando, il presidente aveva eliminato ogni margine di manovra per la politica locale. Mosca, San Pietroburgo e Novosibirsk non hanno più una dimensione politica autonoma: i governatori sono diretta emanazione del Cremlino. Non c’è più alcuno spazio di manovra per voci che non siano filogovernative». De Stefano spiega in questi termini come si alimenta la macchina putiniana del consenso. La maggioranza degli intervistati, una percentuale pari al 73 per cento, ritiene che “l’operazione militare speciale” stia procedendo a gonfie vele verso il successo. Una tendenza in crescita rispetto ad aprile, quando lo stesso dato si attestava a una percentuale del 68 per cento. Circa un terzo di loro ritiene che il popolo russo abbia la responsabilità morale della morte di civili e della distruzione materiale in Ucraina, il 58 per cento è convinto di no. Anche in questo caso, rispetto ad aprile, assistiamo a un aumento percentuale di 8 punti della quota di intervistati che riconoscono le proprie responsabilità. 

Più viene prolungata la guerra, più aumenta il rischio per Putin di dover ordinare una mobilitazione generale. Recentemente sono stati rimossi i limiti di età per i soldati russi nel tentativo di riempire i ranghi sguarniti dalle perdite in combattimento. L’invasione procede reclutando uomini di età superiore ai quarant’anni e facendo affidamento sui soldati delle minoranze etniche provenienti da molte delle regioni più povere della Russia, insieme ai coscritti dei territori occupati dell’Ucraina orientale. Se il Cremlino arriverà al punto di non ritorno per il quale dovrà arruolare migliaia di giovani da Mosca e San Pietroburgo, l’attuale consenso alla guerra difficilmente sopravvivrebbe. «Nelle grandi città i russi vedono che le loro condizioni di vita stanno cambiando: questo in prospettiva potrebbe creare del malcontento. Ma al momento Mosca tiene perché non mancano i beni di base. Il bilancio del Cremlino regge visto che l’export di petrolio non si è mai arrestato. L’inflazione galoppante al 20 per cento si farà sentire però. Ad avere la peggio sarà soprattutto la popolazione rurale, la Russia degli ultimi. Esiste dunque la possibilità che a causa della crisi economica la lealtà delle élites locali venga meno e che questo crei i presupposti per delle proteste sistematiche».

Articolo di Leonardo Aresi, studente del Master in Giornalismo e Comunicazione Multimediale dell’Università Luiss Guido Carli.